Non ce la faccio a farcela!

Bisogna concedersi il dolore, toccare il fondo, starci anche un bel po’ a farci la muffa là sotto (perché tanto sai che più giù non ci vai) poi bisogna darsi la spinta per risalire, lottare, migliorarsi, evolvere. 

E, se ci fai caso, gli altri son tutti bravi a dare consigli quando a stare male sei tu e non loro.

Oggi vorrei parlare un po’ di quando invece non ti va di risalire, non ti va di migliorare e non ti va di farcela. 

Se il tuo motto è non ce la faccio a farcela, batti cinque amico, sono con te.

Se non ne puoi più di video e post motivazionali, se ogni life-coach o guru del benessere ti sembra un esaltato che si fa di anfetamine o si fuma lo zucchero filato, se non riesci a superare un momento buio, io ti dico: va bene lo stesso.

Perché a volte non ce la facciamo a cambiare, a volte sappiamo benissimo quanti difetti abbiamo e cosa dovremmo o non dovremmo fare, sappiamo qual è la scelta giusta e quale invece non lo è. Ma semplicemente gnaafacciamo

E possiamo concederci anche questo. Possiamo concederci di essere miserabili per un po’, di stare nelle retrovie, non solo di non fare gli eroi, di essere proprio cacasotto con la vitalità propulsiva di una ameba.

Se non ce la fai ad uscire dal tunnel, arredalo.
Prenditi il tuo tempo. 
Accumula la lanugine nell’ombelico (ok questo funziona solo se sei munito di una discreta panzetta, ma il concetto resta comunque chiaro).
Abbozzolati come un bruco che non ha la minima intenzione di sfarfallare in giro perché a terra ci sta benissimo e in fondo, l’altezza gli ha sempre dato un senso di vertigine.

All’ennesimo cazzotto in piena faccia, invece di urlare alla Rockynon fa male! non fa male!” ti autorizzo a tirare un improperio poco rispettoso degli angeli e di tutti i Santi del paradiso da far vergognare Germano Mosconi oppure puoi piangere e raggomitolarti in posizione fetale come Jim Carrey quando ha capito in realtà di aver baciato un maschio.

Piangi tutte le lacrime del mondo e consuma tutta la foresta amazzonica in fazzoletti di carta (no, questo no, usa quelli di stoffa per favore, cosi poi li puoi riutilizzare e puoi contribuire a risollevare un po’ il pianeta dalla piaga consumistica dell’umanità. Inoltre puoi strizzarli e contemplare la quantità di lacrime versate e, per i più ossessivi, dilettarti a calcolare quanti liquidi assumere per re-idratarti).

Prenditi a padellate di ghisa da solo infierendo su te stesso mentre sei a terra per l’ultima sconfitta subita.

E poi se ci pensiamo è tutto un gran casino! 
Se dovessimo davvero comportarci come si dovrebbe comportarsi, ne usciremmo pazzi, o quanto meno leggermente disorientati. 
Ci avete mai fatto caso?

Lavorare sodo, ma avere il tempo per godersi la vita.  

Studiare teoria, ma essere forti nella pratica.

Studiare una vita, ma accettare qualsiasi lavoro perché “mica si può essere tutti dottori a sto mondo, servono anche i contadini”, ma se non studi ti dicono che ti accontenti di poco e sei senza aspirazioni.

Essere in età da contratto di apprendistato, ma avere esperienza.

Avere una solida carriera lavorativa alle spalle e diverse capacità verificabili, ma accettare  uno stipendio ridicolo perché “chi ti credi di essere?”.

Avere soldi per chiedere soldi in prestito in banca.

Pulire e sistemare la casa secondo le indicazioni di Marie Kondo senza diventare ossessivi perché in fondo la casa va vissuta.

Innamorarsi a bomba per lasciarsi andare e godere il momento, ma mantenere i piedi per terra. 

Crederci, crederci fino in fondo con fede incrollabile, senza però illudersi e poi deludersi  perché si ha creduto invano.

Bisogna essere sensuali, ma non troppo sennò si comunica un’idea sbagliata.

Magri, ma non troppo

In forma, ma non fissati col culto del corpo.

Intelligenti, ma non troppo sennò si è pesanti.

Leggeri, ma non superficiali.

Divertenti ma non troppo sennò non si è presi sul serio.

Socievoli senza passare da troppo disponibili senno gli altri se ne approfittano.

Avere molti amici, ma avere tempo per se stessi per fare amicizia con la solitudine.

Essere spontanei ma non troppo perché poi si è impulsivi o si toglie spazio agli altri.

Essere social, ma non troppo, perché se sei troppo social non sei alternative chic.

Avere un cane ma non trattarlo da figlio. Avere un figlio ma non trattarlo da cane.

Fare figli e stare a casa con loro, ma senza rinunciare alla carriera per potergli dare un modello di genitore di successo.

Non stare in affitto perché sono soldi buttati, ma non fare un mutuo a vita perché senno non esci più e non viaggi più perché non hai neanche i soldi per piangere.

Lo sappiamo che si devono mangiare la verdura e le proteine e che invece i carboidrati vanno limitati; ma non è colpa nostra se è il cioccolato che manda in circolo nel cervello le sostanze del buonumore, giusto?

Lo sappiamo che in amore non dovremmo essere troppo dipendenti, che in amor vince chi fugge mentre noi non siamo mai stati sportivi e fuggire ci farebbe venire una sincope istantanea, irreversibile e fatale.

Moderarsi, gestirsi, migliorarsi.
Si però a un certo punto: vaffanculo. 

Appendiamo a mo’ di bandiera, a vessillo della nostra inettitudine, tutti i nostri difetti e le nostre miserie e cantiamo “ma checce fregaaaa…ma checce importa” a squarciagola.

Perché un po’ di felicità, anche pochina, ce la meritiamo anche così, acciaccati, imperfetti, incasinati, migliorabili. Sguazzanti nelle incoerenze, nella paura e nella disperazione.

Perché forse in questo modo, una volta che ci siamo accettati, capiti, coccolati e riconosciuti nelle nostre miserie, forse, poi riusciremo ad avere una briciola di voglia di stare meglio e riaprire la connessione con quelle psicologhe, per esempio, che scrivono blog semiseri, che hanno un cane e che non vedono l’ora di escogitare assieme a voi il modo di venir fuori dai casini, coperti dalla vostra personalissima miseria.

Perché non è vero che gli altri sono meglio. 
Gli altri siamo noi cantava il biondo col ciuffo, e chaveva ragione. 



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